Una festa surreale che ogni primo maggio si svolge in un piccolo paese dell’Abruzzo, Corcullo. Vi immaginate migliaia di fedeli riuniti attorno ad una statua a lanciare i serpenti? Bene questa è la storia della “Festa della Serpara”.
Le sue origini risalgono al Medioevo, ad un episodio miracoloso legato alla figura di Sant’Antonio Abate, considerato il protettore dei maiali e che visse fino ai 100 anni da anacoreta, anche chiamato “l’eremita che strappava le anime dall’inferno”. Secondo la tradizione medievale fu chiesta l’intercessione del santo egiziano per estirpare la presenza dei serpenti nei campi contadini circostanti che impedivano a questi di lavorare.
Ed il “rito” è alquanto bizzarro. La statua del santo, patrono della città di Corcullo, viene fatta uscire dalla chiesa e portata in processione. Qui i cosiddetti “serpari” dopo aver raccolto alcuni rettili dalle campagne circostanti, li appoggiano sulla statua a modo di sciarpa.
Un volta catturati i serpenti, si portano in festa: il giorno della celebrazione, infatti, santo, prelati, cocullesi e visitatori vengono “adornati” con i serpenti: naturalmente vivi, ma svuotati dal veleno e soprattutto storditi dagli ormoni, data la stagione che precede l’accoppiamento. In ogni edizione, migliaia di pellegrini devoti, curiosi e turisti accorrono in questo minuscolo borgo per assistere allo spettacolo unico della statua adornata da serpi che si aggrovigliano intorno all’immagine sacra.
Probabilmente la festa ha un’origine ancora più antica rispetto a quella legata al santo medievale: i popoli del centro Italia adoravano infatti Angizia, dea dei serpenti e della fertilità, e quindi, come spesso è accaduto, una festa pagana si sarebbe fusa con una cristiana.
Ed è proprio a Cocullo, dove il santo passò intorno all’anno mille, esistono due reliquie donate direttamente dal frate benedettino: un dente molare ed il ferro della sua mula. Il primo, conservato in un reliquiario, viene baciato o posto sulla parte del corpo da guarire. Il secondo viene usato per “mercare” o solo toccare gli animali, in particolare le morre di pecore, per preservarli dai pericoli che la particolare natura dei luoghi rende più aspri e frequenti.