I santi Paolo Miki e compagni appartengono alla prima storia del Giappone cristiano. L’evangelizzazione del Giappone iniziò con San Francesco Saverio, che vi giunse nel 1549 ma vi rimase appena due anni, dovendo poi ripartire per l’India. In questi due anni Francesco riuscì, tuttavia, a gettare le basi dell’apostolato cristiano in quel Paese e, alla sua partenza, lasciava una comunità cristiana di un migliaio di fedeli. I confratelli gesuiti che vennero dopo di lui proseguirono molto bene l’attività di evangelizzazione.
I missionari predicavano il Vangelo apertamente e si muovevano d’accordo con le autorità del posto, operando conversioni anche tra personaggi altolocati. Nei trent’anni che seguirono i convertiti crebbero in numero, tanto che nel 1587 i cristiani, sparsi in varie città ma soprattutto a Nagasaki erano in tutto 300 mila!
Tra questi c’era anche Paolo Miki, nato nel 1556 da una famiglia nobile e benestante giapponese residente nei pressi di Kyoto, importante città d’arte e di cultura. Era figlio di un nobile samurai, convertitosi al cristianesimo insieme ad alcuni monaci buddisti, grazie sempre alla predicazione dei Gesuiti.
A 22 anni entrò in seminario, sempre dai Gesuiti. Dovette però attendere l’ordinazione sacerdotale, perchè l’unica diocesi che allora esistesse in Giappone era senza vescovo da lungo tempo. Grazie alla sua oratoria e alla sua delicatezza dei sentimenti, tipica del suo popolo, riuscì a convertire moltissime persone di classe agiata.
Ma la diffusione del cristianesimo in Giappone, all’inizio tollerata dalle autorità, venne improvvisamente ostacolata. Gli “Shogun”, una sorta di capi-dittatori dell’epoca vedevano come una minaccia il crescente numero di vocazioni tra le fila del loro popolo. Venivano addirittura considerati dei traditori perchè legati in qualche modo alla cultura europea.
Nel 1587venne ordinata così l’espulsione di tutti i missionari dal Giappone. Tuttavia il decreto non venne mai applicato alla lettera e così i missionari poterono comunque continuare ad evangelizzare in condizioni semi-clandestine. Ma la tregua durò poco. In breve tempo si scagliò una violenta persecuzione: minacce di morte a famiglie di giapponesi convertiti, proprietà confiscate, chiese bruciate nei villaggi. Si arrivò all’arresto dei missionari e dei loro collaboratori catechisti.
Anche Paolo Miki venne arrestato nel 1596 con due suoi confratellie sei missionari francescani spagnoli. Qui San Paolo si distinse per la sua personalità e la sua santità, diventando per tutti un punto di riferimento, per il suo coraggio, la sua fede, la sua costanza e la sua pazienza. Ai prigionieri fu chiesto di abiurare, ma nessuno lo fece.
Così venne tagliato il lobo del loro orecchio sinistro. In seguito, furono esposti al pubblico ludibrio per le vie della città di Meaca. Le guardie incarcerarono anche due giovani che durante tutto il tragitto avevano accompagnato San Paolo Miki e il resto dei suoi compagni. Giunti a Nagasaki, gli venne richiesto di rinnegare la propria religione e in seguito al rifiuto vennero condannati a morte.
La vigilia del martirio si confessarono reciprocamente e il giorno dopo celebrarono la Messa. Furono condotti su quella che in seguito fu chiamata la “Collina Santa”, la stessa collina che nel 1945 avrebbe poi conosciuto lo scoppio della seconda guerra mondiale.
Le fonti raccontano che 4 mila cristiani si riversarono sulla collina dove avvenne il martirio. Quando i futuri martiri videro le croci che riportavano scritti i loro nomi, si inginocchiarono di fronte ad esse e le baciarono. I carnefici li legarono con corde e anelli di ferro. Un contemporaneo ha tramandato l’ultima esortazione di Paolo Miki elevato sulla croce:
Paolo vedendosi innalzato sul pulpito più onorifico che mai avesse avuto, per prima cosa dichiarò ai prsenti di essere giapponese e di appartenere alla Compagnia di Gesù, di morire per aver annunziato il Vangelo e di ringraziare Dio per un beneficio così prezioso.
Alcuni iniziarono a intonare canti e salmi, altri invece a invocare il nome di Gesù e di Maria. Furono in breve uccisi a colpi di spada. Fu proibito di seppellire i corpi che rimasero lì appesi alle croci per settimane. Svariati furono anche i prodigi che si verificarono sulla collina. Globi di fuoco sulle spoglie dei santi, uccelli rapaci che non osavano avvicinarsi ai corpi. Furono canonizzati da Pio XI nel 1862.