Settant’anni fa, le uniche due volte che vennero utilizzate delle armi nucleari in tempo di guerra furono il 6 agosto a Hiroshima e il 9 agosto a Nagasaki. L’attacco di Hiroshima uccise circa 80.000 persone all’istante e potrebbe aver causato circa 130.000 morti, per lo più civili.
Il 6 agosto 1945, festa della Trasfigurazione, molto vicino al luogo in cui cadde la bomba Little Boy, quattro sacerdoti gesuiti tedeschi sono sopravvissuti alla catastrofe, e le radiazioni – che uccisero migliaia di persone nei mesi successivi – non hanno avuto alcun effetto su di loro.
I sacerdoti gesuiti Hugo Lassalle, Hubert Schiffer, Wilhelm Kleinsorge e Hubert Cieslik erano nella canonica della chiesa di Nostra Signora dell’Assunzione, uno dei pochi edifici che resistettero allo scoppio della bomba.
Ecco la storia:
Ad Hiroshima, quel 6 agosto 1945, c’era anche una piccola comunità di otto gesuiti. Il loro presbiterio era proprio nel raggio di devastazione della bomba atomica. Ma sia loro che il presbiterio rimasero illesi. E attribuirono il miracolo al fatto che vivevano ogni giorno il mistero di Fatima. Quando ci si ricorda di Hiroshima, della prima bomba atomica della storia sganciata su una città, si pensa subito alla devastazione e alla morte che portò quell’atto di guerra. Tre giorni dopo, il 9 agosto, l’attacco atomico toccherà a Nagasaki, una città composta per due terzi da cristiani, e anche lì avverrà che un convento rimarrà miracolosamente illeso. E poi, più nulla. Il Giappone è rimasta l’unica nazione ad essere vittima di un attacco nucleare. Ma è anche una nazione che sa come rialzarsi, e che sa ricordare. E tra i ricordi di Hiroshima, c’è anche quello del miracolo ricevuto da otto padri gesuiti.
Il 6 agosto è il giorno della Trasfigurazione del Signore, ovvero di quando Gesù, accompagnato da Pietro, Giacomo e Giovanni, andò sul monte Tabor e fu trasfigurato davanti ai loro occhi. Il 6 agosto è anche il giorno di un’altra trasfigurazione, quella di Hiroshima. Erano le 8 e 15 del mattino quando un B-29 americano, l’Enola Gay, lanciò la sua bomba “Little Boy” su Hiroshima. La bomba scoppiò a circa 600 metri sulla città. Un flash, una palla di fuoco gigante, e tutto fu praticamente vaporizzato in un raggio di poco più di un chilometro e mezzo dal punto di impatto. Si stima che circa 80 mila persone persero la vita subito, e che il numero delle vittime crebbe rapidissimamente entro l’anno, a causa delle ferite e degli effetti delle radiazioni.
Eppure, non tutto è morte e devastazione. Ad Hiroshima c’era una piccola comunità di padri Gesuiti che viveva in un presbiterio vicino la parrocchia, situata a poco più di un chilometro dal punto di detonazione, proprio nel centro del raggio di totale devastazione. E tutti gli otto membri di questa comunità scamparono praticamente illesi dagli effetti della bomba. Il presbiterio rimase in piedi, quando due terzi degli edifici di Hiroshima erano crollati e a vista d’occhio intorno a loro non c’erano altro che edifici crollati.
Uno di questi sopravvissuti era padre Hubert Schiffer, un gesuita tedesco. Aveva 30 anni al momento dell’esplosione, e visse fino a 63 anni in buona salute. Negli anni seguenti ha viaggiato per raccontare la sua esperienza. E il Catholic Herald, anni fa, ha riportato uno stralcio della sua testimonianza registrata nel 1976, quando tutti e otto i gesuiti della comunità erano ancora vivi.
Il 6 agosto, dopo aver detto Messa, Schiffer si era seduto per fare colazione. Fu lì che vide il fascio di luce. Dato che Hiroshima aveva impianti militari, Schiffer ritenne che c’era stata qualche esplosione nel porto. Ma quasi subito si rese conto che non era così. “Una terribile esplosione – raccontava – riempì l’aria con un tuono rumorosissimo. Una forza invisibile mi sollevò dalla sedia, mi scagliò per aria, mi scosse, mi sbatte e mi fece girare intorno e intorno”. Ricaduto per terra, si risollevò e si guardò intorno, ma non vide niente da nessuna parte. Tutto era stato devastato.
Schiffer ebbe qualche ferita lieve, ma niente di serio, e anche dopo gli esami eseguiti dai medici dell’esercito americano e da scienziati hanno mostrato che né lui né i suoi compagni hanno poi sofferto di malattie causate dalle radiazioni o dalla bomba. Schiffer e i suoi fratelli gesuiti ne sono convinti. “Siamo sopravvissuti perché vivevamo il messaggio di Fatima. Vivevamo e pregavano il rosario ogni giorno nella nostra casa”.
Dopo Hiroshima, il governo giapponese rifiutò di arrendersi incondizionatamente, e per questo una seconda bomba atomica fu lanciata sulla città di Nagasaki tre giorni dopo. Nagasaki era un obiettivo secondario, perché il primo obiettivo era la città di Kokura. E c’è forse della sadica ironia della sorte nel fatto che alla fine la scelta ricadde su Nagasaki, la città dove erano concentrati due terzi dei cattolici in Giappone, i quali – dopo secoli di persecuzione – dovettero patire questo terribile colpo proprio alla fine della guerra.
Ma anche in questo caso c’è un’altra ironia, uno di quei paralleli di cui la storia è piena. Perché come il presbiterio gesuita non subì danni, così il convento francescano che San Massimiliano Kolbe – morto durante la guerra ad Auschwitz nel 1941 , dando la vita al posto di un prigioniero – aveva stabilito a Nagasaki prima della guerra non ebbe danni dalla bomba che cadde lì. San Massimiliano, ben conosciuto per la sua devozione alla Vergine Maria, aveva deciso di costruire il convento proprio lì, alle falde del monte Hikosan, contro il consiglio di scegliere invece un’altra posizione e lo aveva chiamato Mugenzai no Sono (Giardino dell’Immacolata) Ma, quando la bomba fu lanciata, il convento fu protetto dalla forza della bomba proprio grazie all’interposizione del monte Hikosan. Quindi si può dire che sia in Hiroshima che in Nagasaki ci sia stata la mano protettiva di Maria.
Una mano che si è vista chiaramente in un altro miracolo, a Nagasaki. Tra gli edifici ridotti in rovine ci fu la cattedrale di Urakami, allora una delle più grandi chiese dell’Asia. Le vetrate si sciolsero a causa dello scoppio di “Fat Boy”, i muri caddero, l’altare si bruciò, le campane si liquefecero. Ma la testa di una statua di legno della Vergine Maria sopravvisse tra le colonne collassate e i rottami della Chiesa. Fa quasi paura il modo in cui l’icona religiosa appare dopo lo scoppio: gli occhi della Madonna sono bruciati, la guancia destra è annerita e una screpolatura corre lungo il suo volto come fosse una lacrima. Tanto che Shigemi Fukahori, allora giovane sacerdote, sostiene che “la prima volta che ho visto la statua danneggiata, ho pensato che la Vergine Maria stesse piangendo. Ho pensato che è come se la vergine Maria ci stesse dicendo della miseria della guerra sacrificando se stessa. Questo è un significativo simbolo di pace che dovrebbe essere preservato per sempre”. I resti della statua sono ora dentro la chiesa ricostruita sullo stesso punto, a soli 500 metri dal punto di esplosione della bomba.
Mentre è stata completamente ricostruita la cattedrale di Hiroshima, considerata uno dei centri più importanti della cristianità in Giappone. A volerne la ricostruzione è stato Hugo Lassalle, un parroco tedesco di Nobori Church, che a stento è sopravvissuto alla bomba atomica. Lassalle ha dedicato la sua vita alla ricostruzione della Chiesa, che oggi è la “Memorial Cathedral for the World Peace”, la cattedrale memoriale per la pace del mondo. Una costruzione che lo stesso Lassalle volle si configurasse come una costruzione aderente ai canoni architettonici giapponesi e allo stesso tempo luogo di culto cattolico e memoriale. Sembravano canoni inconciliabili, ma non lo sono.
Ed è anche qui che, come ogni anno, si celebrano, dal 6 al 15 del mese, dei “Dieci giorni per la pace”. Una iniziativa ispirata all’appello lanciato da Giovanni Paolo II nel febbraio 1981 nel “Peace Memorial Park” di Hiroshima. Il Papa disse: “Ricordare il passato è impegnarsi per il futuro. Non posso non rendere onore e plauso alla saggia decisione delle autorità di questa città secondo cui il monumento in memoria del primo bombardamento nucleare dovrebbe essere un monumento alla pace” . . Così facendo, la città di Hiroshima e tutto il popolo del Giappone hanno vigorosamente espresso la loro speranza per un mondo di pace e la loro convinzione secondo cui l’uomo che fa la guerra è anche in grado di costruire con successo la pace. Da questa città , e dall’evento che il suo nome ricorda si è andata originando una nuova consapevolezza mondiale contro la guerra ed una rinnovata determinazione ad operare in favore della pace”.
Un appello ripreso nel messaggio per l’iniziativa dei vescovi giapponesi. I quali – ricordando il terremoto e l’incidente ad una centrale nucleare – concludono: “La via della pace è proprio la strada per amare e rispettare la vita. Pertanto, facciamo ogni sforzo, rinnovando l’appello, per abolire le centrali nucleari immediatamente e per creare una società in cui le persone possano proteggere la vita e cercare la pace”.