San Patrick, New York. Tra i primi banchi della Cattedrale della “Grande Mela” si riunisce il gotha del movimento artistico americano e non di allora. Liza Minelli, Yoko Ono, arrivata in anticipo, Calvin Klein, Tom Wolfe, George Plimpon. Quel 1 Aprile del 1987, il funerale di Andy Warhol sembra più una festa di gala se non fosse per l’artista John Richardson che, ricorda Wharol, parla di una sua “pietà segreta” che “cambia inevitabilmente la nostra percezione nei confronti di un artista che ha ingannato il mondo facendogli credere che le sue uniche ossessioni fossero i soldi, la fama e il glamour che fosse così cool dall’essersi trasformato in un insensibile. Non giudicate mai Andy per quello che appare”.

La fede cattolica sembra sia stata questa sottile linea rossa che ha guidato tutta la strana vita di Andy Warhol.

I genitori di Warhol nacquero in un villaggio al confine settentrionale dell’Impero austro-ungarico. Erano ruteni: membri di una piccola chiesa cattolica bizantina nata da Cirillo e dalla missione di Metodio sui Carpazi. Nel 1909, suo padre si trasferì a Pittsburgh, sede della più grande comunità rutena fuori dall’Europa. Sua madre lo seguì nel 1921 e il loro figlio Andrew nacque sette anni dopo. Suo padre lavorò come minatore di carbone fino alla sua morte, quando Warhol aveva 13 anni.

Nel 1955, il marchio di scarpe I. Miller assunse Warhol per illustrare le sue pubblicità sul New York Times . I critici, sbalorditi dalle sue capacità e dal suo talento, paragonarono i suoi annunci con i poster di Toulouse-Lautrec. Questo attingere a temi commerciali da inserire nelle opere artistiche arrivò a definire il movimento della Pop Art. Mise anche Warhol al centro dell’avanguardia di New York e il suo studio (soprannominato “The Factory”) divenne il suo quartier generale.

Circondato da sesso, droga e alcol, la sua religiosità evitava spesso ad Andy Warhol di superare il limite. Era solito recarsi a messa tutti i giorni presso la parrocchia di San Vincenzo Ferrer, sulla Lexington Avenue, portava sempre in tasca un rosario, sul comodino aveva messo una chiesetta in gesso accompagnata da un vecchio libro di preghiere e sotto al suo camice bianco aveva appesa al collo una croce. Soleva trascorrere le feste di ringraziamento e le notti di Natale facendo volontariato alle mense sociali, scambiando parole con i senzatetto. Sebbene apertamente gay, si sforzò di rimanere celibe per tutta la vita. Quando rifiutò di sostenere il movimento per i diritti dei gay, molti dei suoi amici incolparono la sua fede.

Visse con sua madre fino alla morte, e ogni mattina pregavano insieme in antico slavo prima che Andy si recasse alla sua The Factory. Portava sempre con sè un rosario e un piccolo messale.

Schivo e distaccato, Andy Warhol era restio a parlare della sua fede in pubblico o con coloro che lo intervistavano. 

Le sue serigrafie divennero delle vere e proprio “icone secolari”, che rispecchiavano principalmente la cultura pop degli anni 50’ e 60’ (come il celebre ritratto di Marylin Monroe). La sua religiosità venne fuori nei suoi pezzi artistici solo durante il suo ultimo anno di vita, quando Andy Warhol si “ossessionò” con l’affresco dell’ Ultima Cena di Leonardo da Vinci, ricreando centinaia di riproduzioni della scena, molte delle quali inserite nella più classiche delle rappresentazioni pop; Gesù accanto a marchi come la General Electric o delle saponette della Dove. Quasi per dire: l’ordinario a volte offusca lo straordinario. Quando i nostri appetiti ci distraggono dalla visione di Cristo. 

Accade anche che Warhol viaggiò a Roma nel 1980 per incontrare Giovanni Paolo II. Si dice che indossasse la sua parrucca meno appariscente e la sua cravatta più semplice come gesto di rispetto per il Santo Padre. Una foto lo mostra stringendo la mano del Papa, socchiudendo gli occhi e sorridendo debolmente, come se trattenesse le lacrime. È l’unica foto in cui Andy Warhol tradisce la sua “pietà segreta”. Per una volta, sembra una persona, non un simbolo o una caricatura. 

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