Non capita tutti i giorni di conoscere persone che nella loro vita abbiano avuto il dono di incontrare 6 santi. E’ il caso di Padre Giuseppe Ungaro, francescano e 99 enne, lunga barba e capelli bianchi lasciati crescere a sfiorare le spalle: la figura di questo frate affascina, tanto da poterla paragonare a un personaggio degli affreschi di Michelangelo. Nel 2018 ha ricevuto dal sindaco della città di Padova il “Sigillo della Città”, un riconoscimento verso quelle persone che hanno dedicato la loro vita alla attività sociale.

Nel 1972 padre Ungaro fondò in città l’Armadio del povero. «In tutti questi anni abbiamo aiutato decine di migliaia di famiglie. L’anno scorso ne abbiamo soccorse 1.600, originarie di trenta Paesi. Molti anche gli italiani», ha dichiarato. “Bisogna aiutare tutti, come dice Papa Francesco”

Questo frate nella sua vita ha avuto la possibilità di conoscere 3 santi, tra cui 4 papi: San Giovanni Paolo II, San Padre Pio, San Leopoldo Mandic, San Massimiliano Kolbe, San Giovanni XXIII e San Paolo VI.

La sua vita è stata un capolavoro di spostamenti. Per 47 anni è stato decano della basilica di Sant’Antonio a Padova. Durante la Seconda Guerra Mondiale fu parroco in quel di Sabaudia. Ed è durante la sua permanenza a Sabaudia che ha conosciuto padre Pio, il frate con le stigmate. «Mi recavo spesso a San Giovanni Rotondo per confessarmi da lui – spiega –. Alcune volte ho dormito nel convento dei cappuccini e ho potuto incontrarlo».  «Il mio desiderio – aggiunge – era quello di partire in missione. Ma fu proprio lui, durante una confessione, a predire che ciò non sarebbe avvenuto: “Tu non andrai mai in missione”. Subito dopo, infatti, scoppiò la guerra. Mi ripeteva spesso: “Peppì, ad impossibilia nemo tenetur (nessuno è tenuto a fare cose impossibili)”.

Con padre Massimiliano Kolbe, conventuale martirizzato ad Auschwitz nel 1941, fra Giuseppe ha avuto più di un incontro. «Era un uomo mite, umile, molto silenzioso. Mi sono confessato da lui più volte – confida –. Era di una bontà infinita. Viveva lo spirito francescano nella sua totale radicalità. Non faceva mai domande indiscrete. Non sgridava. Incoraggiava a superare le proprie mancanze attraverso l’impegno e la preghiera».

Di padre Leopoldo, cappuccino del convento padovano di Santa Croce, ricorda la grande umiltà, la semplicità, ma anche l’umanità e la saggezza d’animo. «Ogni mercoledì veniva in Basilica a confessare i frati al Santo. Per prima cosa si recava a pregare alla tomba di sant’Antonio e vi ritornava al termine delle confessioni, affidando al Santo preoc­cupazioni, promesse e speranze. Era esilissimo, alto un metro e 35 centimetri. Quando qualcuno si offriva di accompagnarlo in automobile, scendeva prima di arrivare a destinazione. Si vergognava di questo privilegio. Ed era proprio in questo tratto di strada a piedi – racconta fra Giuseppe – che i ragazzini lo prendevano in giro e gli infilavano alcuni sassi dentro il cappuccio. Tutto questo lo faceva un po’ soffrire».

Le sue giornate sono particolarmente intense: sveglia alle 3.30 del mattino, poi in Basilica per la preghiera e l’adorazione che si conclude con la Messa conventuale. Seguono gli incontri con le famiglie in difficoltà, con le persone uscite di prigione (è anche assistente in carcere) e con quanti hanno bisogno di un consiglio e un aiuto. «Perché ogni uomo e donna ha la propria dignità. E va difesa. E in tutti vi è la presenza di Gesù».

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