Motto: “Non ci sarà chiesto se siamo stati credenti, ma credibili”
Rimarrà scolpito nella storia il grido che, durante la sua visita in Sicilia nel maggio del 1993, papa Giovanni Paolo II leva contro la mafia: «Convertitevi! Verrà il giudizio di Dio!». Poi definisce gli uccisi da Cosa Nostra «martiri della giustizia e indirettamente della fede».
Pochi sanno che a ispirare quell’anatema, urlato a brac- cio, c’è anche Rosario Livatino, magistrato freddato dalla mafia il 21 settembre del 1990, a soli 38 anni di età, mentre con la sua auto, senza scorta, sta raggiungendo il tribunale di Agrigento. Pochi minuti prima di pronunciare quelle parole, infatti, il Papa aveva incontrato gli anziani genitori del giudice.
Nato a Canicattì il 3 ottobre del 1952, a 27 anni Rosario vince il concorso in magistratura e viene assegnato al Tribunale di Agrigento dove, vista la sua serietà e preparazione, gli vengono affidate delicatissime indagini sulla mafia. Livatino va fino in fondo, rispondendo innanzitutto alla propria coscienza e a Dio. “STD” erano le lettere che annotava qua e là nella sua agenda per affidare le sue decisioni e le persone che avrebbe dovuto giudicare “sub tutela Dei” (nelle mani di Dio).
All’obitorio lo vedono spesso pregare accanto al cadavere di pregiudicati di cui ben conosceva la fedina penale e che per questo rimetteva alla misericordia di Dio. Per lui amministrare la giustizia è innanzitutto una vocazione, preceduta dalla preghiera in cui ogni mattina si immerge prima di entrare in tribunale, cercando di «dare alla legge un’anima». Anni dopo, uno degli esecutori del suo omicidio testimonierà dal carcere al suo processo di beatificazione, avviato nel 2011.